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Buon compleanno Mr. Morrison (parte 2)

by | 15 Dec 2016 | Musica | 0 comments

Facebook X Seconda (ed ultima) parte del nostro viaggio oltre gli steccati del mito di Jim Morrison: il successo, gli eccessi, l’amore per la poesia e la tragica fine. In questa seconda parte, si conclude una breve panoramica sul mito di Jim Morrison realizzata in occasione del suo compleanno (8 dicembre): si va dall’esplosione dei The Doors nel 1967, […]

Seconda (ed ultima) parte del nostro viaggio oltre gli steccati del mito di Jim Morrison: il successo, gli eccessi, l’amore per la poesia e la tragica fine.

In questa seconda parte, si conclude una breve panoramica sul mito di Jim Morrison realizzata in occasione del suo compleanno (8 dicembre): si va dall’esplosione dei The Doors nel 1967, fino alla misteriosa morte a Parigi nel 1971. Anche in questo caso, ho cercato di mettere in luce l’artista e l’uomo, oltre l’icona stereotipata. Dunque, se siete pronti, ricominciamo…

Il successo esplosivo dei The Doors

Il primo album, The Doors, pubblicato nel 1967 proiettò Morrison e soci ai vertici delle classifiche di tutto il mondo. Nell’arco di 5 anni, la band realizzò ben 6 album di studio, molti dei quali entrati di diritto nella storia della musica contemporanea. Il mito di Jim Morrison, intanto, si impone sulla scena internazionale come emblema di ribellione alle costrizioni sociali e rifiuto di un’America che combatte in Vietnam una guerra ingiusta.

Lo stile dei The Doors è un cocktail esplosivo di generi ed ispirazioni: l’anima blues della band si intreccia al rock psichedelico, ai riff indiani e gitani della chitarra di Robby Krieger, agli inconsueti assoli di organetto di Ray Manzarek che giocano con il ritmo trascinante della batteria di John Densmore.

E poi c’è lui, Jim Morrison che, con una voce suadente, canta, declama versi, incita i fans a lasciarsi andare alla trance musicale che ogni appassionato di musica ha sperimentato sulla propria pelle, almeno una volta nella vita.

Il mito di Jim Morrison

La parabola dei The Doors con Jim Morrison si conclude con L.A. Woman del 1971. Morrison è già vicino alla fine: la barba incolta, l’addome gonfio per l’alcool e psicologicamente a pezzi, si trasferisce a Parigi dove muore pochi mesi dopo, il 3 luglio del 1971.

In questi brevi e folgoranti anni, Jim Morrison costruisce il suo mito fatto di eccessi, sregolatezze, sfide all’ordine precostituito. Rimane nella storia la performance di Light my fire del 1967 alla popolare trasmissione americana Ed Sullivan Show: il patto è di non parlare di “sballo” in tv, divieto che Morrison puntualmente trasgredisce pronunciando i versi della canzone in originale (Girl we couldn’t get much “higher”). Come risultato, la band viene bandita dalla trasmissione. Per sempre.

Durante i concerti che seguono, emerge sempre più la personalità eccentrica e dionisiaca di Jim Morrison che declama poesie in preda all’alcool, sfida le autorità, incita la folla, emette suoni disarticolati e viene arrestato con l’accusa di aver mostrato i propri genitali durante un concerto a Miami (accusa senza prove per la quale, solo recentemente, è arrivata la grazia postuma dello Stato della Florida).

Ma il mito di Jim Morrison, mito che egli stesso ha indirettamente costruito, finirà per schiacciarlo. Perché le luci, i soldi, le fans eccitate, ormai contano ben poco per lui. A Morrison stanno stretti i pantaloni di pelle nera della rockstar: lui, prima di tutto, vuole essere riconosciuto come poeta!

Jim Morrison, poeta maledetto

La produzione poetica di Jim Morrison in Italia è raccolta in due volumi fondamentali (I signori. Le nuove creature. Le poesie del ‘Re Lucertola’ e Tempesta elettrica che riunisce le poesie postume).

Ma che cos’è per Morrison la poesia? Ce lo spiega lui stesso in Tempesta elettrica usando parole semplici: «(…) Sentite, la vera poesia non dice niente, elenca solo delle possibilità. Apre tutte le porte. E voi potete passare per quella che preferite. (…) Se la mia poesia cerca di arrivare a qualcosa, è liberare la gente dai modi limitati in cui vede e sente». In Morrison c’è questa costante, ossessiva incitazione ad andare oltre, ad abbattere/sfondare le barriere percettive e mentali (ad es. nella canzone Break on Through).

La poetica di Jim Morrison è uno scorrere di immagini, di percezioni che unisce pericolosamente gli amati maudits francesi (Rimbaud, Baudelaire) con poeti e scrittori della beat generation (Kerouac, Ferlinghetti, Burroughs etc.). Gli anni 60’, del resto, furono caratterizzati proprio da questo senso di ricerca dell’assoluto, di creatività che si riversava con forza nelle strade, nella musica, nei reading poetici divenuti di moda.

Ma la poesia di Jom Morrison si nutre anche della cultura del mondo classico, di psicoanalisi, di esoterismo, di surrealismo e sciamanesimo. Come nella musica, Morrison mescola vari stili e influenze per arrivare a definire un proprio linguaggio dove le parole scorrono da una mente alterata e lucida al tempo stesso.

Tuttavia Jim Morrison, come poeta, non riesce ad affermarsi quanto il Jim Morrison rockstar. Di questo lui ne fu perfettamente consapevole (con grande amarezza). Prima di partire per il suo ultimo viaggio a Parigi con la compagna Pamela Curson, Morrison si chiude un giorno intero nella stanza del Village Recorder per registrare le sue poesie, quei testi che non hanno a che fare con il clamore dei The Doors. L’ultimo atto prima di consegnarsi alla morte. La fine e l’inizio del mito di Jim Morrison che non si è ancora spento.

L’ultimo viaggio a Parigi: la morte di Jim Morrison

A marzo del 1971, Jim Morrison si trasferisce con la sua compagna Pamela Courson a Parigi. Vuole dedicarsi interamente alla poesia. Il 3 luglio del 1971, Jim viene trovato morto nella vasca da bagno di un appartamento al n. 17 di rue de Beautreillis. Si parla di un arresto cardiaco: almeno questa è la poco credibile versione ufficiale.

Più probabile sembra l’ipotesi che Morrison sia deceduto per overdose al night club Rock ‘n’ Roll Circus durante la notte per poi essere trasportato – ormai già morto – nel suo appartamento parigino in modo da fingere una morte per cause naturali. Verrà sepolto nel Cimitero di Père-Lachaise, ancora oggi meta di pellegrinaggi di numerosi fans.

Il tema della morte accompagnerà tutta la vita e la produzione artistica di Jim Morrison. Ci fu un episodio che lo segnò profondamente durante l’infanzia. Aveva 4-5 anni ed era in auto con i genitori lungo una strada in mezzo al deserto tra Albuquerque e Santa Fe. C’era stato un incidente stradale mortale e, riversi a terra giacevano, alcuni indiani esanimi. Morrison raccontò che lo spirito di uno di essi si impossessò della sua giovane mente cambiando la sua vita per sempre.

Da allora, Jim Morrison si sentì, in qualche modo, uno sciamano, un medium che cercava di vivere e di far vivere ai fans una connessione con l’assoluto, con quello che conta davvero… La morte entrò in lui e lui rispose corteggiandola per tutta la vita e consegnandosi ad essa a soli 27 anni.

Sulla sua tomba il padre fece scrivere questo epitaffio in greco antico: ΚΑΤΑ ΤΟΝ ΔΑΙΜΟΝΑ ΕΑΥΤΟΥ, che tradotto sta per “Fedele al suo spirito“. Il modo migliore per ricordare l’essenza dell’uomo e dell’artista che fu.

<a href="https://sopralerighe.it/author/p-brancaccio/" target="_self">Pietro Brancaccio</a>

Pietro Brancaccio

Laureato al DAMS (Discipline d’Arte, Musica e Spettacolo), scrive di arte e cultura perché – parafrasando Dostoevskij – è profondamente convinto che la bellezza salverà il mondo. È appassionato di viaggi, culture straniere e dei nuovi stili di vita che uniscono tecnologia avanzata e sapere arcaico della Natura.

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