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L’ultimo album dei 99 Posse: intervista a “‘O Zulù”.

by | 25 Jul 2016 | Musica | 0 comments

Facebook X “Il Tempo. Le Parole. Il Suono.” è l’ultimo album dei 99 Posse. “‘O Zulù” (Luca Persico) ci racconta di sè, della band e di come nascono le sue canzoni. L’ultimo album dei 99 Posse si intitola “Il tempo, le parole e il suono”. Come sono cambiate “le  parole” e “il suono”  dei 99 Posse […]

“Il Tempo. Le Parole. Il Suono.” è l’ultimo album dei 99 Posse. “‘O Zulù” (Luca Persico) ci racconta di sè, della band e di come nascono le sue canzoni.

L’ultimo album dei 99 Posse si intitola “Il tempo, le parole e il suono”. Come sono cambiate “le  parole” e “il suono”  dei 99 Posse nel “tempo” che è passato da Officina 99?

In ogni nostro disco ci sono sempre stati grossi cambiamenti. Abbiamo iniziato occhieggiando verso il rap e il raggamuffin. Nel disco successivo eravamo fusi con una rock band in un progetto enorme: “Incredibile Opposizione”. Finita l’esperienza con i Bisca, ci siamo buttati con una new entry, Meg, in questo mirabolante mondo del trip hop; poi l’elettronica ha cominciato a mescolarsi con altri generi, per cui ci ha naturalmente attratti. A noi sono sempre piaciute la sperimentazione, le cose bastarde. In questo disco, quello che è cambiato è un uso delle metafore molto più presente rispetto al passato.

Come sono nati i pezzi dell’ultimo album dei 99 Posse?

Noi, all’inizio, lavoriamo separati. I Posse buttano giù idee musicali, io butto giù un sacco di testi; poi, quando abbiamo più o meno qualcosa che assomigli a una ventina di canzoni, ci incominciamo a vedere assieme per trasformarle in musica.

In quest’album c’è un pezzo (“Nun è over”) che omaggia Pino Daniele. Con lui avete collaborato diverse volte. Che ricordo avete di “Zio Pino”?

Un sacco di prime volte mie sono legate a “Zio Pino”. Tra tutte, la cosa che mi colpì di più, quella che forse può sembrare pure banale, fu la prima canzone con una parolaccia sentita in radio e in televisione. Quindi Je so’ pazzo mi diede un doppio senso di appartenenza: sia il sentirmi rappresentato in quanto pazzo, sia in quanto napoletano (ride n.d.r.). Ancora oggi, ogni singola volta che Raulino (suo figlio n.d.r.) mi stringe un dito, non posso non pensare alla sua canzone, per cui sai… dipingeva la nostra città, ma anche gli stati d’animo di chi la vive.

15 anni dal G8 di Genova. All’epoca, con il movimento no-global, molti a sinistra avevano la speranza che le cose potessero cambiare. Oggi che il disastro politico-economico ci ha sopraffatti, possiamo ritrovare una speranza di cambiamento?

Noi la speranza non l’abbiamo mai persa, anche se è stata incrinata fortemente negli anni; ma perderla è una parola troppo grossa. Marx scrisse che il capitalismo produce da solo i germi di quella che sarà la sua distruzione. Io poi ho anche una scritta qua (mi mostra un tatuaggio sulla parte interna del braccio n.d.r.) che dice “Quod me nutrit, me destruit” (ciò che mi nutre, mi distrugge n.d.r.) che un po’ parla di questo. Sicuramente il modello di sviluppo, così come l’avevano pensato, è arrivato al collasso.

Si è abbassato moltissimo l’interesse in quello che accade e contemporaneamente si è scoperto questo rutilante mondo dei social media che offre a tutti la sensazione di poter essere professori in qualcosa con qualche click. Con questo progetto dei Posse giro ancora parecchio per i centri sociali. Tra il 90’ e il 95’ c’erano tutti i riflettori puntati su quell’area, oggi non più. Però quell’area continua a resistere e a produrre controcultura.

Napoli dell’era De Magistris sta andando nella giusta direzione?

Abito a Monteforte Irpino, provincia di Avellino (ride n.d.r.). La vedo come i turisti. È bella, c’è meno immondizia. No, a parte gli scherzi… cerco di non fare il tuttologo quando facciamo le interviste.

A questa domanda puoi anche non rispondere perché è molto personale. Qualche anno fa, lavorando a un documentario di Sky ( “Biancaneve” n.d.r.), vidi delle sequenze in cui parlavi della tua lotta per sconfiggere la dipendenza da crack. Cosa diresti a un ragazzo che in questo momento, mentre io e te parliamo, si sta facendo?

“Si ce l’ha fatta ‘O Zulù, c’ha può fa pure tu!”. Era uno slogan, lo  usavamo nel luogo in cui sono andato a farmi dare una mano.

Quel ragazzo che correva in “Curre curre guagliò”,  se lo immaginiamo per un istante oggi, verso cosa corre?

“Corre per non venire nelle foto” scrisse Salvatores in Sud ( il brano in questione fa parte della colonna sonora del film n.d.r.). Il concetto non era tanto il correre verso qualcosa. Il concetto era correre, stare sempre in movimento, perché non essendoci nessuna garanzia, l’unica cosa in cui puoi credere sei te stesso. È una cosa a metà tra una scelta e una condanna.

<a href="https://sopralerighe.it/author/p-brancaccio/" target="_self">Pietro Brancaccio</a>

Pietro Brancaccio

Laureato al DAMS (Discipline d’Arte, Musica e Spettacolo), scrive di arte e cultura perché – parafrasando Dostoevskij – è profondamente convinto che la bellezza salverà il mondo. È appassionato di viaggi, culture straniere e dei nuovi stili di vita che uniscono tecnologia avanzata e sapere arcaico della Natura.

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