Facebook X Insultare qualcuno su Facebook, di fatto, corrisponde a una sanzione pecuniaria civile, cioè una multa da 100 a 12.000 euro per offesa del valore sociale della persona In teoria, quindi, andare sulla pagina di un politico e dargli del co*****e ti esporrà al rischio di denuncia e di relativa ammenda. La possibilità […]
Insultare qualcuno su Facebook, di fatto, corrisponde a una sanzione pecuniaria civile, cioè una multa da 100 a 12.000 euro per offesa del valore sociale della persona
In teoria, quindi, andare sulla pagina di un politico e dargli del co*****e ti esporrà al rischio di denuncia e di relativa ammenda. La possibilità che tu venga denunciato dal politico in questione, in realtà è davvero minima perché, insultare su Facebook qualcuno, non è l’unica priorità di cui si occupano le autorità preposte. La macchina giuridica che fa rispettare le leggi è così imponente e lenta che molte querele vedono la luce anni dopo la loro messa a verbale. Al tempo stesso, offendere sul web, in particolare su Facebook, è un reato regolamentato in un modo per la legge italiana che non è lo stesso di tutti gli altri Stati su cui la piattaforma di social network è attiva e opera.
Facebook si avvale di un generico monito iniziale quando atterri sulla pagina degli “Standard della comunità”, con il quale ti informa dell’esistenza di una organizzazione comunitaria coordinata anche con le forze dell’ordine, preposta a rimuovere e isolare contenuti ed utenti che creino danni fisici e minacce dirette alla pubblica sicurezza.
La Comunità che misura il rispetto degli standard è un team dislocato dalla sede centrale, come riporta La Repubblica: Secondo una stima, si tratta di un esercito di 100mila persone a sorbirsi il peggior sottoscala dei social network per ritrovarsi di fronte post e contenuti da censurare o meno. (Simone Cosimi – Facebook e rischio censura: dietro al ”blocco” c’è un esercito di moderatori). Come si comporta Facebook dinanzi ad un insulto, però, non è perfettamente chiaro. Hai la possibilità di segnalare un contenuto scorretto, offensivo o pericoloso tramite una finestra che si apre in corrispondenza del post incriminato, come quella qui sotto:
La tua segnalazione finirà sullo schermo di un moderatore che, in tempi ragionevoli, ti risponderà con l’esito positivo o negativo della questione. A volte può capitare che immagini di nudo artistico o iconico finiscano nella rete della censura, semplicemente perché l’operatore commette un errore. La difficoltà aumenta quando entrano in gioco delle questioni folkloristiche, tipiche di ogni paese. A ciò Facebook ha risposto di aver provveduto a assumere personale qualificato in questo senso, ma a me che ci lavoro, mi vien da borbottare che molto spesso il limite concesso a determinati contenuti mi lascia perplessa.
Quindi, se per la legge italiana l’ingiuria è un reato a tutti gli effetti, per gli standard della comunità di Facebook no… o quasi?
Per la comunità di Zuckerberg, l’insulto è un’azione che si subisce tra quelle previste dal form di segnalazione e per cui ti consiglia di eliminare o bloccare la persona che ti ha offeso. Non molto utile, vero? Un passo avanti è stato fatto da una sentenza che ammette una differenziazione del grado di offesa, ritenendo l’insulto presso la bacheca virtuale di una persona, di tipo aggravato, poiché il messaggio offensivo sarebbe volutamente raggiungibile ad un più ampio pubblico di persone. Lo lessi su Wired non molto tempo fa, e trovi le informazioni sul caso qui. Questo significa che qualche giudice disposto ad ammettere il valore legale di una calunnia su Facebook, esista eccome. Ed è positivo.
Ciò che è negativo è il modo sistematico in cui gli utenti perdano il controllo delle proprie azioni, ritenendo la rete un posto inesistente nella realtà e, per ciò, anarchico e fuori controllo
Sembra come se l’immaginario collettivo percepisca il web come una vita parallela a quella analogica, in cui non importa se dietro un insulto scritto c’è un nickname che parla per tuo conto, è collegato dal tuo PC ed è rintracciabile da un indirizzo IP. Ancora più assurdo, per me, l’atteggiamento di chi cede al turpiloquio con tanto di nome e cognome veri allegati. Il problema è proprio questa sottostima della realtà virtuale che David Crystal, linguista britannico, ha sdrammatizzato con la definizione di Netspeak, ovvero il modo di esprimerci quando chattiamo per iscritto con qualcuno utilizzando i canoni del registro del parlato; assenza di regole grammaticali e di punteggiatura e copiosa presenza di faccine sono solo alcune delle sfumature che erodono sempre più le regole della lingua scritta tradizionale. Netspeak è il concetto che sdrammatizza, per l’appunto, la nascita e l’affermazione del nuovo registro linguistico del web, ovvero un dialogo incessante globale fatto di abbreviazioni, semplificazioni, emoticon e contenuti virali che si dissolvono in una manciata di giorni.
Quante volte ti capita di trascorrere ore a leggere i commenti delle baruffe su Facebook tra i fiumi di utenti che affollano pagine popolari come quella di Matteo Salvini? A volte penso che siano più interessanti le reazioni degli utenti anziché il contenuto stesso a cui le persone rispondono. Qualche volta verrebbe voglia di farsi prendere la mano e di mandare a quel paese l’utente X senza filtri ne esitazioni. Tuttavia, voglio ricordarti con veemenza che qualsiasi azione tu compia in rete, essa sarà giudicabile dinanzi alla legge e mormorata tra i tuoi contatti davanti ad un caffè al bar. Sì, hai ragione se stai pensando che la rete dimentica molto presto le figuracce. La legge, però, no.
Copywriter e consulente di web marketing a tempo pieno. Aspirante giornalista politica. Fermamente convinta che le migliori idee nascano a pancia piena.