
Distopie reali: quando la narrativa anticipa il futuro
C’erano una volta dei libri che leggevamo come fantasie oscure, visioni esagerate di futuri impossibili. Oggi, invece, quelle pagine sembrano cronaca. Spaventosa, lucida, quasi profetica.
Di terremoto si è parlato troppo. Sono state scritte righe e righe di commozione, di descrizione, di protesta e di rassegnazione. Il terremoto in Italia è un fatto noto, ripetuto e alle volte fin troppo scontato.
Un argomento talmente chiacchierato che anche la satira francese ha avuto da dire la sua in merito. Perché allora i terremotati hanno la sensazione di esser abbandonati a loro stessi? Ve lo spiego io, che sono aquilana.
Era il 6 aprile 2009. Dopo mesi di scosse ritenute innocue, fummo brutalmente sbalzati dai nostri letti nel cuore della notte. Da quel momento la vita di oltre 60.000 persone cambiò. Le nostre vite cambiarono in una manciata di secondi, in meno di un minuto. Non sapevamo, allora, che quel mezzo minuto sarebbe stato così rivoluzionario. Non potevamo immaginare che da quel momento in poi nulla sarebbe mai più stato come prima. Abbiamo metabolizzato questa scoperta anni dopo, quando l’attesa di tornare alla normalità si è sostituita alla rassegnazione che il nostro desiderio più grande, non si sarebbe mai avverato.
Al silenzio irreale di centri abitati abbandonati, si alterna il rumore assordante dei cantieri e il turpiloquio dei carpentieri al lavoro. Al degrado e all’abbandono si alternano palazzi freschi di vernice, nuovi e colorati. Alle transenne che delimitano costruzioni edili crollate, su cui la vegetazione fiorisce e verdeggia sui detriti, si alternano moderne strutture temporanee in legno e acciaio dai nomi futuristici come MAP o MUSP. Tutto è un alternarsi tra vecchio e nuovo; e questa alternanza tra pre e post sisma si riflette anche nei racconti tra amici al bar, quando, per spiegarsi meglio, si è obbligati a precisare “prima del terremoto” o “dopo il terremoto”. Una sorta di anno zero da cui ricominciare a raccontare le nostre vite che fa da tremendo spartiacque tra ciò che era e ciò che sarà.
Sono passati quasi dieci anni da quel momento e, ad oggi, mi capita di leggere nei volti delle persone che mi chiedono di raccontare qualcosa del terremoto tanta, troppa sorpresa. Quasi sempre mi sento dire “Ma davvero?” oppure “è incredibile quello che mi stai raccontando”. Molto spesso mi infastidisco e penso “Ma in che diamine di mondo vivi? Come fai a non sapere che se vivi in tenda per mesi, sei costretto a usare bagni chimici e docce da campo?”. Ora ci ho fatto l’abitudine e, invece di infastidirmi, approfitto della curiosità delle persone per spiegare cosa è successo, come si vive un terremoto e cosa succede dopo la “fine” dell’emergenza immediata. E provo un certo sollievo quando riesco a informare anche solo una persona in più circa tutto il mondo di storie sommerse che aspettano di venire a galla.
Ciò che manca nel racconto mediatico è la descrizione pura e semplice di cosa il terremoto sia veramente. Solitamente i media si fissano sull’episodio simbolico, sulle storie tragiche e sulla ricerca di un lieto fine alla Disney. La colpa non è loro. Non c’è colpa da assegnare in questo tipo di racconto. Sono le persone, infondo, che vogliono leggere storie melodrammatiche, romanzate ed ai confini della realtà. Se non ci fosse stato il drammatico crollo della Casa dello Studente di L’Aquila e se non fosse accaduta la tragedia del Rigopiano, ci sarebbero state altre miriadi di storie struggenti da raccontare e da erigere a simbolo. Basta trovarne una particolarmente significativa, raccontarla bene, aggiornare gli spettatori su ogni evoluzione della vicenda e la tragedia simbolo è pronta. Vi rendete conto di quanto sia mortificante per un terremotato che soffre e piange per la sua terra violentata, sentirsi ripetere che lui è uno sfollato come un altro, mentre “poveracci-quelli-del-Rigopiano”?
Il terremotato, appena dopo il sisma non capisce a cosa stia andando incontro. Non è in grado di realizzare le dinamiche socio-politiche che invaderanno la sua esistenza. La paura, il terrore e il ricordo pulsante della terra che trema lo accompagneranno per anni e anni dopo la scossa distruttiva. Il sisma riaccende vecchie fobie sepolte nella fanciullezza. Ti fa tornare ad avere paura del buio e del tremore di una finestra al passaggio di un tir. Anni e anni dopo la tragedia, un tuono che segnala l’arrivo di un temporale ti fa saltare dalla sedia. E molto spesso ti fa piangere. Il terremoto non si esaurisce con la scossa. Dura e perdura per decenni, perché porta con sé la disintegrazione degli spazi e dei gruppi sociali, la riorganizzazione edilizia, il cambio radicale delle abitudini e la nostalgia per tutto ciò che è crollato e che non tornerà più. Cosa passa per la testa di un terremotato? Forse il sentimento più forte è quello di odio verso chi non capisce. Non siamo arrabbiati con questo o quel governo, sai che ce ne frega della politica in un momento così terribile?
Come ci si sente ad essere un terremotato?
Chiedigli come era la sua città. Quale era il suo bar preferito. Dove andava a farsi i capelli e dove portava la sua donna per l’anniversario. Domandagli cosa significhi vivere in tenda. Dagli modo di poter parlare e di poter raccontare, ma non mettere in mezzo i giornali, i giornalisti e i giornalai. Il terremotato li odia i giornali, perché sono sempre i primi a prendersi gioco della sua tragedia. D’altronde anche loro dovranno pur mangiare. Non parlargli dei politici. Non metterti a parlare delle tue soluzioni per la ricostruzione, perché il terremotato ha già in mente le sue. E non ha voglia di sentirsi dire cose che sa già, né tantomeno ama ascoltare i tuttologi di turno con la soluzione facile sempre in bocca. Non dare la colpa ai terremotati se non sono stati in grado di procurarsi una casa sicura. Non è colpa loro. Il terremotato vuole che tu veda con i tuoi occhi lo stato in cui riversano i luoghi del sisma, vuole che ascolti di quella volta che vennero i personaggi del Grande Fratello in tendopoli ma nessuno lì degnò di attenzione perché era ora di pranzo e, giustamente, i terremotati erano più interessati a mangiare un pasto caldo. Lascialo raccontare di quella volta che fece una scossa notturna molto forte e tutti fuggirono dalla tenda, come se anche quella potesse crollare e fare loro del male. O ancora, di quella volta in cui, tornando alla tendopoli dopo una serata con gli amici, si frugò tra le tasche per cercare le chiavi di casa e sbottò a ridere perché, per entrare in tenda, non c’è nessun portoncino da aprire e nessuna chiave da inserire. Scoprirai che esistono storie incredibili, molto più interessanti di quelle mediatiche e che ti faranno comprendere, davvero, cosa passa per la testa di un terremotato.
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