Trainspotting 2 di Danny Boyle è un film che andava visto. Com’è stato? Ve lo racconto nelle prossime righe…

Un film gradevole ma…

Di Trainspotting 2 ne abbiamo parlato un po’ di tempo fa, prima dell’uscita nelle sale italiane.

Fare il sequel del primo capitolo – lo sapevamo dall’inizio – non poteva che essere un’operazione altamente rischiosa, trattandosi di un “cult movie” che ha segnato gli anni 90′ in modo indelebile.

Che impressione ne ho avuta? Sicuramente si tratta di un film gradevole; tuttavia, siamo distanti anni luce dalla carica graffiante del suo predecessore.

Trainspotting 2: torna a casa Renton!

Quello che non convince di Trainspotting 2 è insito nello sviluppo del racconto. Giusto un accenno all’incipit: Renton (Ewan McGregor) torna ad Edimburgo per salutare la famiglia. Troverà solo suo padre (sua madre è defunta da tempo).

In balia dei ricordi, decide di andare a trovare il vecchio amico Spud (Ewen Bremner), che è alle prese con un maldestro tentativo di suicidio. Si salverà grazie all’intervento dell’amico, intenzionato a chiarire anche i rapporti con Sick Boy (Jonny Lee Miller), dopo il tradimento di vent’anni prima…

Una sceneggiatura debole

Non vado oltre con la trama (sennò partono le denunce per spoiler!). Ad ogni modo, la mia sensazione è stata di una sceneggiatura incapace di decollare e, in diversi punti, davvero poco credibile. Penso – per fare solo un esempio – a Begbie (Robert Carlyle) che, di punto in bianco, vuole iniziare il figlio, aspirante collegiale, al mondo della criminalità.

Certo l’episodio di un padre deluso dal figlio che preferisce studiare piuttosto che delinquere è divertente, ma non puoi non chiederti: cosa ci fa un violento sociopatico in una famiglia assolutamente normale?

Insomma, in Trainspotting la trama reggeva perché i personaggi erano in qualche modo esasperati, grotteschi e tuttavia autentici.

Ma ora che non c’è l’eroina (fatta eccezione per Spud), cosa li lega se non una trama tenuta assieme con il collante di un’insistente nostalgia per i tempi andati?

Nostalgia e furia citazionistica

Trainspotting 2 è dichiaratamente un film nostalgia: la memoria delle gesta “mitiche” del passato suscita rancori, ricordi, alleanze e scontri.

In questo Boyle è chiaro sin dall’inizio. Purtroppo il tema finisce per sfociare in una furia citazionistica del film di culto, che alla lunga stanca.

Il problema di fondo è che i personaggi recitano se stessi, omaggiano i tempi andati, dicendo poco del presente. Non a caso, anche il nuovo monologo di Renton è un tentativo di spiegare quello di vent’anni fa (il celeberrimo “scelgo la vita”), aggiornandolo al presente. Ma senza graffiare, anzi con rassegnata acquiescenza.

Tutta la rabbia e il rifiuto degli anni 90’ qui diventa blanda constatazione di un fallimento. E l’unica vera dipendenza è quella dal ricordo dei tempi andati (e di un’amicizia gloriosa che forse non è mai esistita).

La regia di Boyle: un giro sull’ottovolante

Con questo non voglio dire che Trainspotting 2 sia un pessimo film. Anzi, la regia di Boyle è ipercinetica, inventiva, a tratti sorprendente.

È un bel giro su un veloce ottovolante dove però mancano quelle inquadrature sporche, quell’esasperata decadenza, che avevano fatto di Trainspotting un film allucinato e dolorosamente realistico.

Gradevole anche la colonna sonora, (c’è persino Radio Ga Ga dei Queen), ma è la playlist di un bravo dj che non riesce a prenderti sottopelle com’era accaduto in passato.

Non è facile riprendere un film che è stato un manifesto generazionale. Forse è una scommessa persa già in partenza. La domanda a questo punto è la seguente: era davvero necessario un sequel?