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Maestri alla Reggia: Caserta accoglie Gianfranco Rosi

by | 22 Apr 2016 | Cinema | 0 comments

Facebook X Maestri alla Reggia, il 20 Aprile, ha ospitato Gianfranco Rosi. Il regista, Orso d’oro per Fuocoammare, ha tenuto una lezione di cinema (e di vita). Fuocoammare, il cinema incontra la vita Maestri alla Reggia, rassegna realizzata dalla Sun (Seconda Università di Napoli) in collaborazione con la rivista Ciak e la Cineventi di Remigio […]

Maestri alla Reggia, il 20 Aprile, ha ospitato Gianfranco Rosi. Il regista, Orso d’oro per Fuocoammare, ha tenuto una lezione di cinema (e di vita).

Fuocoammare, il cinema incontra la vita

Maestri alla Reggia, rassegna realizzata dalla Sun (Seconda Università di Napoli) in collaborazione con la rivista Ciak e la Cineventi di Remigio Truocchio, è giunta al suo terzo appuntamento. L’intervistatrice è Alessandra De Luca, redattrice di Ciak. Ospite d’onore Gianfranco Rosi, regista per passione, anzi, per vocazione. Rosi, infatti, appartiene a quel tipo di cinema, sicuramente minoritario, che fonde il linguaggio filmico con il pulsare della vita.

Per il Maestro poco conta distinguere tra fiction e documentario. Quello che gli interessa è il modo di intendere il mezzo filmico, il suo modo, che gli è valso numerosi riconoscimenti internazionali. L’ultimo è l’Orso d’oro al Festival di Berlino per il docu-fiction Fuocoammare.

I miei film si costruiscono nel tempo” dichiara il regista, generoso nel rispondere con attenzione alle numerose domande dei presenti. “Non parto mai da una sceneggiatura, da un punto di vista precostituito. La prima cosa è creare un rapporto con i luoghi e con i personaggi”.

Un rapporto che, nel caso di Fuocoammare, ha richiesto più di un anno di permanenza nell’isola di Lampedusa. “Per tre mesi sono stato senza cinepresa” racconta.” I lampedusani odiano le telecamere che arrivano solo quando ci sono i morti. La cinepresa viene fuori solo dopo, quando c’è fiducia reciproca”.

 Gianfranco Rosi: ogni film un’avventura

Questo modo di lavorare partecipe, immersivo, caratterizza l’intera filmografia di Rosi. Pensiamo a Sacro GRA (Leone d’Oro al Festival del Cinema di Venezia 2013) che ha richiesto due anni di riprese nei pressi del Grande Raccordo Anulare di Roma. Anni in cui il regista dichiara di aver vissuto in roulotte, in modo da immergersi completamente nell’atmosfera della periferia romana.

Stesso discorso per i film precedenti: dalle rive del sacro Gange indiano di Boatman (1993) al deserto americano dei drop out in Below Sea Level (2008) fino a El Sicario – Room 164 (2010). Per realizzare quest’ultimo lavoro, Rosi racconta di aver vissuto e girato nella stanza di un motel dove il sicario, protagonista del film, aveva torturato ed ucciso diverse persone.

Ma come è riuscito in tale impresa estrema?

È Alessandra De Luca, intervistatrice di questo appuntamento di Maestri alla Reggia, a porre il quesito, ricordando la disavventura dell’attore e regista hollywoodiano Sean Penn, che ha avuto seri problemi con la giustizia americana per la sua intervista all’allora latitante El Chapo (re del narcotraffico messicano). “Ma lui è stato un pivellino”- risponde, sorridendo, Rosiio per El Sicario mi sono affidato a delle persone che conoscevano profondamente quella realtà”. Se l’argomento ha destato la vostra curiosità, El sicario-Room 164 è visibile in streaming gratuitamente nell’archivio digitale Rai.

 L’Europa non chiuda le frontiere

La serata è stata anche un’occasione per confrontarsi sulla tragedia umana dell’’immigrazione. Un extracomunitario presente all’incontro, uno che ha vissuto in prima persona la tragedia degli sbarchi, denuncia l’ipocrisia dell’Europa che premia il film di Rosi mentre chiude le frontiere ai migranti.

Su questo punto il Maestro ha espresso una posizione chiara: “Il mio film è solo una goccia nell’oceano; tuttavia, sarà distribuito in 64 paesi. La cosa folle è che nazioni come Ungheria, Polonia, Austria chiudono le frontiere. Ma chi ragiona così dovrebbe restare fuori dall’Europa. Anche l’accordo con la Turchia è indegno. Non si può rimandare a casa persone disperate. Quello che mi fa paura non sono i muri fisici, ma i muri mentali. Quelli non crollano facilmente”.

 Nell’ascoltare queste parole viene in mente la sequenza di Fuocoammare in cui il Dottor Pietro Bartolo commenta, profondamente turbato, alcune foto di migranti deceduti per asfissia da gas tossici emessi dalle imbarcazioni. È forse questo il momento più esplicito e umano del film: “Come si fa ad abituarsi a vedere donne incinte, uomini, bambini, morti nella stiva di una nave?” si chiede il dottore. “ Non posso rimanere indifferente. Ne vedo centinaia di morti, ma non ci si abitua mai a vedere cose del genere!”.

<a href="https://sopralerighe.it/author/p-brancaccio/" target="_self">Pietro Brancaccio</a>

Pietro Brancaccio

Laureato al DAMS (Discipline d’Arte, Musica e Spettacolo), scrive di arte e cultura perché – parafrasando Dostoevskij – è profondamente convinto che la bellezza salverà il mondo. È appassionato di viaggi, culture straniere e dei nuovi stili di vita che uniscono tecnologia avanzata e sapere arcaico della Natura.

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