Seleziona Pagina

40 anni di cinema: la Reggia di Caserta festeggia Carlo Verdone

L’arte e i ricordi del regista romano inaugurano la seconda stagione di “Maestri alla Reggia” Tornano alla Reggia di Caserta gli incontri di “Maestri alla Reggia”, la rassegna ideata dall’Università della Campania Luigi Vanvitelli (ex SUN) che porta i grandi autori del cinema italiano a parlare della settima arte nel Palazzo vanvitelliano, intervistati dalle migliori firme […]
40 anni di cinema: la Reggia di Caserta festeggia Carlo Verdone

Tornano alla Reggia di Caserta gli incontri di “Maestri alla Reggia”, la rassegna ideata dall’Università della Campania Luigi Vanvitelli (ex SUN) che porta i grandi autori del cinema italiano a parlare della settima arte nel Palazzo vanvitelliano, intervistati dalle migliori firme di Ciak . Oltre alla famosa rivista di cinema, l’iniziativa si avvale della collaborazione dell’Associazione “Amici della Reggia” e da quest’anno anche del Comune di Caserta e della Camera di Commercio, con l’organizzazione di Cineventi.

Nell’incontro di venerdì 24 Febbraio, dopo l’introduzione della Prof.ssa Lucia Monaco, si alternano al microfono il direttore artistico Remigio Truocchio, la direttrice di Ciak Piera Detassis e il Rettore Paolisso, che non manca di rivendicare come la nuova denominazione dell’Ateneo (e questa stessa kermesse) voglia essere un legame profondo con la storia e la bellezza del territorio casertano.

E da tutta questa storia e bellezza si è lasciato incantare anche l’ospite scelto per inaugurare questa seconda stagione di incontri

Carlo Verdone fa il suo ingresso in maniera epica, introdotto dalle note degli Stadio dalla scena finale di Acqua e sapone. Si guarda intorno sinceramente stupito sia dell’accoglienza del pubblico che della meraviglia della Cappella Palatina: confessa di non aver mai visto la Reggia e questa sua prima visita sembra l’occasione perfetta per festeggiare i 40 anni di attività. “40 e non 37”, tiene a precisare, perché anche se il suo primo film Un sacco bello è del 1980, è stato nel 1977 che ha esordito come regista teatrale.

Intervistato da Andrea Morandi, il regista romano ripercorre col pubblico la sua carriera, dalla laurea in Lettere “con indirizzo storico-religioso” (e qui gli scappa una mezza risata ripensando a come ha indossato la tonaca in tanti film e sketch) ai primi spettacoli col fratello Luca, dalla tessera per il Filmstudio  regalatagli dal padre (“È lì che mi appassionai al cinema e decisi che avrei fatto quello nella vita”) all’Oscar per La grande bellezza di Sorrentino.

Parla molto, si lascia accarezzare dai ricordi felice di condividerli con i tantissimi fans che riempiono la cappella vanvitelliana, confermando il suo gusto per la riflessione di fondo dal sorriso malinconico, un lato di sé che traspare da sempre nei suoi film e da un anno anche sulla sua apprezzatissima pagina Facebook.

 

Ad intervallare la conversazione con Andrea Morandi, passano sul maxischermo brevi clip della sua filmografia, scene entrate nella storia del nostro cinema: dal finale di Bianco, rosso e Verdone a Gallo cedrone passando per Viaggi di nozze, riconosciuto e accolto con una risata sin dal primo fotogramma.

In questo fiume di ricordi e riflessioni generati dalle immagini, ogni tanto spunta fuori il tono petulante di Furio o il romanesco del coatto di borgata e Verdone non si trattiene dal riproporre qualche suo personaggio, raccontarne l’origine o parlare dei suoi punti di riferimento come Sergio Leone o il Peter Sellers di Hollywood party. Vedendo una clip da Lo sceicco bianco – dal personaggio di Leopoldo Trieste prende spunto il suo Furio di Bianco, rosso e Verdone – apre una parentesi per elogiare Napoli e i suoi grandi caratteristi del passato (“Ho sempre sognato di lavorare con Ugo D’Alessio e Nina De Padova”).

Parla a tutto campo, per esempio del modo di vedere i film oggi, opponendo la condivisione della visione in sala ai risvolti quasi misantropi del chiudersi in casa a guardare un film su PC; del suo rapporto con la recitazione (“Per me è sempre buona la prima”); della sua concezione di talento (che per lui è una qualità innata, non si può acquisire né con l’esercizio né con l’esperienza). Il lato professionale arriva poi a confondersi col personale, come quando il regista racconta di aver “approfittato” del flop nelle sale di C’era un cinese in coma per ricaricare le pile e girare intorno al mondo coi suoi figli, o ancora quando parla degli sforzi per affrancarsi dai suoi stessi personaggi che lo hanno fatto conoscere al grande pubblico.

Alla fine di questo flusso di aneddoti, impressioni del momento e considerazioni a posteriori, si può dire di aver visto Carlo Verdone per quello che è: un osservatore della realtà attento e curioso, acuto nel raccontare le nevrosi e le debolezze dell’uomo moderno – soprattutto del maschio –, critico con sé stesso ma pacato e bonario con gli altri, sincero e generoso col pubblico, sempre: una persona da cui imparare tanto, come maestro e come uomo.

Trovi le nostre news interessanti?

Resta sempre aggiornato sulle nostre nuove notizie. Seguici sui tuoi social preferiti


Sull'autore

Giuseppe Vuolo

Laureato in Giurisprudenza, gli piace discutere e riflettere sulla vita, l’universo e tutto quanto. Appassionato da sempre di giornalismo, è convinto che “Il parlare scorretto non solo è cosa di per sé sconveniente ma fa male anche alle anime“. Musica, sport, web, comunicazione, satira, cinema, letteratura sono solo alcuni dei tanti interessi di cui parla nei suoi sproloqui.

Pin It on Pinterest

Shares