Spartaco: schiavi di ieri e di oggi
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Il Piccolo Principe è un classico che vale la pena rileggere, anche da grandi. Perché siamo noi “grandoni” a dimenticare spesso ciò che conta davvero…
Il Piccolo Principe fu pubblicato per la prima volta il 6 aprile 1943. Da allora, è stato tradotto in 253 lingue e ha venduto 134 milioni di copie.
L’autore, Antoine de Saint-Exupéry, il 31 luglio del 1944, si alzò in volo dalla Corsica. Doveva condurre una missione di ricognizione per conto delle Forze francesi libere. Dopo qualche ora, sparì misteriosamente nel cielo. Nel 2008, in seguito ad un’inchiesta giornalistica, l’ex pilota tedesco Horst Rippert ha confessato di aver abbattuto l’aereo: molto probabilmente non sapeva nemmeno contro chi stesse sparando.
Oggi, a quasi 74 anni dalla pubblicazione, l’eco de Il Piccolo Principe non si è ancora spento. Pensate che, dopo l’Odissea, è il libro più tradotto al mondo. E la figura stilizzata dell’ometto dalla chioma bionda è diventata oggetto di marketing a livello globale. Ma cosa continua ad affascinarci di questa racconto?
Ho tentato una lettura personale di un “libro per ragazzi” che, di tanto in tanto, rileggo volentieri. Soprattutto quando ho bisogno di ricordarmi le cose davvero importanti della vita…
Il Piccolo Principe compie un viaggio che lo conduce dal suo piccolo asteroide B-612 fino al deserto della Terra. Lungo il cammino, fa conoscenza con una serie di personaggi. Il suo sguardo innocente lo lascia perplesso dinanzi all’assurdità del mondo degli adulti, dove capita di imbattersi in un re che vive su piccolo pianeta senza sudditi; dove si può incontrare un vanitoso che non è interessato ad altro fuorché il plauso altrui; dove un uomo d’affari, che si ritiene una “persona seria”, non ha tempo per vivere, perché è troppo impegnato a contabilizzare il suo patrimonio di stelle.
Questi ed altri personaggi incontrati dal Piccolo Principe sembrano essere varie facce di un’umanità disperatamente sola, persa dietro mete illusorie (ed egoistiche), che mai saranno in grado di dar loro appagamento. Una solitudine rimarcata dal fatto che i personaggi siano gli unici abitanti dei propri pianeti.
Parlando con l’eco, anche il Piccolo Principe, confessa di sentirsi solo. Ma il suo cammino gli riserverà un incontro che lo aiuterà a crescere…
Ci siamo dimenticati di dire che il Piccolo Principe, partendo dal proprio pianeta, si allontana da una rosa che ama tanto. Giunto sulla Terra, trova un giardino con cinquantamila rose; perciò, si sente ingannato dal fiore che si era tanto vantato della propria unicità.
Sarà la volpe ad insegnargli il senso dell’amore (e dell’amicizia) che è un “addomesticarsi” a vicenda, un creare legami, dedicando tempo e cure ad un’altra persona. A cosa serve, infatti, avere giardini con mille rose uguali, se non siamo in grado nemmeno di prenderci cura di una sola di esse?
Il legame affettivo ci collega agli altri, dà senso e bellezza alle nostre giornate. Ma implica la responsabilità verso un altro da sé, che va amato anche nelle differenze e nelle asperità caratteriali.
C’è un passo, a tal proposito, che ogni volta mi commuove. Non so se anche a voi abbia fatto lo stesso effetto. È il momento dell’addio del Piccolo Principe alla sua rosa capricciosa. Quest’ultima, trattenendo orgogliosamente il pianto, gli confessa finalmente di volergli bene e di non voler più la campana di vetro: le bastano i suoi artigli per proteggersi dalle bestie. Il Piccolo Principe, solo in seguito, capirà che amare è anche accettare quegli “artigli” che tanto lo infastidivano. E vederli per quello che sono: quattro spine con cui un fiore fragile tenta di difendersi dal mondo.
La volpe insegna al Piccolo Principe che amare significa anche soffrire al momento dell’inevitabile distacco. E che il gioco vale la candela, perché amare qualcuno ci cambia per sempre.
Infatti, anche se soffre quando il Piccolo Principe va via, la volpe potrà guardare i campi di grano con uno sguardo diverso: in passato non significavano assolutamente nulla per lei, ma adesso sono diventati il ricordo dei capelli dorati del suo caro amico.
La perdita, sembra dirci Exupéry, pur se dolorosa, è un processo di crescita e di arricchimento che bisogna vivere, perché altrimenti si rischia di non vivere affatto.
Al momento dell’addio, la volpe consegna al Piccolo Principe il suo segreto: «Non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi». Questa espressione, che tutti abbiamo sentito, è un invito a guardare al mondo con un’ottica più profonda.
Come esseri umani adulti, crediamo di poter comprendere tutto con il raziocinio, con i numeri, con la tecnica. Eppure, quanto c’è di essenziale, sfugge al campo della logica per situarsi in quello delle emozioni, dell’esperienza vissuta, della percezione dell’essenza delle cose oltre le loro forme fisiche: «È vero. Una casa, le stelle, il deserto: ciò che li rende belli è invisibile» dice l’aviatore al piccolo amico.
Forse il Piccolo Principe continua a piacerci perché suona come un sincero invito ad aprirci al mistero del mondo. Perché è questa la chiave per poter godere della magia della vita. Altrimenti rischiamo di fare la fine di quel lampionaio che, in un mondo che gira sempre più in fretta, si affanna ad accendere e spegnere i lampioni per tutto il giorno: questa è la sua “consegna”, il compito ottuso che non riesce a mettere in discussione, nemmeno per un istante, consegnandosi dritto a un’infelice vita da automa. Non so a voi, ma a me questa figura sembra piuttosto attuale…
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