Stasera in TV il 05/04/2022
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Hollywood ha più volte affrontato il tema della libertà di stampa. Vediamo che chiave di lettura ha utilizzato in alcuni film particolarmente significativi.
I rapporti tra Donald Trump e la stampa americana sono sempre stati pessimi. Durante la campagna elettorale, 147 quotidiani americani hanno fatto endorsement a favore di Hilary Clinton. Soltanto 2 hanno preso le difese di quello che sarebbe divenuto il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America.
Si tratta di un gap enorme. Di un profondo scollamento tra i giornali e ciò che è emerso dal voto popolare: in poche parole, i giornali sembrano non condizionare più l’opinione pubblica americana. O, almeno, non riescono a farlo in modo determinante.
Anche Hollywood sente l’esigenza di riflettere sull’imprescindibile ruolo del giornalismo all’interno della società. Ma in che modo i film americani hanno riflettuto sulla libertà di stampa?
Si tratta dalla celebre espressione pronunciata al telefono da Humphrey Bogart in L’ultima minaccia di Richard Brooks (1952). Se non la ricordate, godetevi questa clip!
In questo film – come in molti altri – la libertà di stampa consiste in un giornalismo capace di incarnare il classico ruolo di watchdog (cane da guardia) della democrazia.
La stampa indipendente e coraggiosa smaschera l’illegalità a tutela della democrazia e della libertà di espressione.
Siamo nel 1974, anno in cui Bob Woodward e Carl Bernstein pubblicarono un libro-inchiesta sullo scandalo Watergate che portò alle dimissioni di Richard Nixon.
Due anni dopo, esce il film Tutti gli uomini del presidente, diretto da Alan Pakula, con protagonisti Dustin Hoffman e Robert Redford.
In questa breve sequenza, un misterioso informatore (“Gola profonda”, sic!) mette a conoscenza Woodward/Redford della fitta trama di raggiri, corruzione e sottrazione di documenti, ordita dal Comitato per la rielezione del Partito repubblicano, ai danni della campagna del Partito Democratico.
I due coraggiosi cronisti lavorano all’interno della redazione del The Washington Post diretto da C. Bradlee. Non dimenticate questo nome: come ci siamo detti in un articolo precedente, Spielberg sta preparando The Post, film incentrato sul coraggioso lavoro del direttore del The Washington Post (C. Bradlee, appunto), che lottò contro il governo americano per pubblicare gli scottanti Pentagon Papers.
Con The Post, dunque, Hollywood torna alla mitologia di un giornalismo d’assalto, che sceglie la giustizia al conveniente, il rischio della denuncia all’acquiescenza.
Il Caso Spotlight di Tom McCarthy, l’anno scorso ha fatto molto discutere. Vincitore degli Oscar 2016 (miglior film e miglior sceneggiatura originale), il film segue fedelmente le indagini condotte da coraggiosi reporter del The Boston Globe, che portarono alla luce numerosi casi di pedofilia “opportunamente” coperti dal Vaticano.
In questa clip, Michael Rezendes (Mark Ruffalo) esprime l’urgenza di un giornalismo che dica la verità, che informi, per evitare che gli abusi sui minori si ripetano ancora. Un giornalismo, dunque, che prova a fare del mondo un posto migliore…
Un’impressione netta che si ricava dalla visione di House of Cards è la capacità di cinici politici come Frank Underwood (Kevin Spacey) di sfruttare la stampa per i propri interessi.
Altro che watchdog journalism, libertà di stampa e difesa della verità! Nell’acclamata serie tv Netflix, la politica utilizza i media per “creare” le notizie, per distorcerle e manipolarle. E giornalisti ambiziosi, come Zoe Barnes (Kate Mara), utilizzano il rapporto preferenziale con la politica per fare rapidamente carriera.
House of Cards mette in luce la deriva contemporanea di un certo giornalismo, che da tempo ha rinunciato alle sue più nobili aspirazioni per servire il potere.
La riflessione chiaramente è valida anche per l’Italia dove il sistema dell’informazione mainstream è viziato dagli interessi imprenditoriali dei proprietari, dai finanziamenti pubblici, dalla politica e, non ultima, dall’autocensura degli stessi giornalisti.
Speriamo solo di non trovarci a dover dar ragione a Quino, il celebre fumettista di Mafalda, che scrisse sarcasticamente: «I giornali inventano la metà di quello che scrivono… se poi ci aggiungi che non scrivono la metà di quel che succede, ne consegue che i giornali non esistono».
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