Le mostre italiane imperdibili della primavera
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La mostra all’Ara Pacis sfrutta il nome del più famoso tra gli schiavi dell’antica Roma per parlare della schiavitù nel mondo antico e per denunciare paralleli tra l’antichità e oggi.
Il Museo dell’Ara Pacis a Roma ospita la mostra Spartaco. Schiavi e padroni a Roma: una mostra che prendendo spunto dal ribelle che mise in ginocchio Roma all’inizio del I secolo a.C. racconta la condizione servile nella Repubblica e poi nell’Impero, attraverso documenti archeologici, video e audio immersivi, e con uno spunto decisamente riflessivo, ci porta a pensare agli schiavi di oggi, di cui non siamo consapevoli.
Ma andiamo con ordine.
Spartaco era un Trace, nativo dell’attuale Bulgaria; era nell’esercito romano prima di essere ridotto in schiavitù e costretto a gareggiare come gladiatore nell’anfiteatro di Capua, uno dei primi luoghi deputati a questo genere di spettacoli. Dai contemporanei, nemici inclusi, era considerato personaggio non solo forte fisicamente, ma anche intellettualmente elevato e dalle doti morali degne di assoluto rispetto. Tuttavia la sua ribellione fu debellata, dopo lunghi scontri, da 10 legioni comandate da Lucio Licinio Crasso nel 71 a.C. Il tentativo di Spartaco di liberare gli schiavi si scontrò contro la potenza politica e sociale, oltre che militare, di Roma. Già, perché Roma basava la sua società e la sua economia proprio sulla presenza ingente degli schiavi.
Quella romana fu una società schiavistica, basata cioè su un sistema di produzione che sfruttava la forza lavoro degli schiavi. Ciò è ben evidente nelle campagne, dove i latifondi erano mandati avanti da schiere di schiavi al servizio di un solo dominus, il proprietario del fondo. Ma gli schiavi erano ovunque, tanto che lo scrittore latino Valerio Massimo riporta che in tutte le famiglie (a meno che non fossero dei poveracci) c’era almeno uno schiavo. Essi erano destinati a tutti gli incarichi possibili e immaginabili, dalla balia e pettinatrice al maggiordomo, al medico (ebbene sì!), al contadino, al minatore, alla prostituta. Nelle proprietà dei grandi signori era sostenuta l’unione tra schiavi, di modo che potessero mettere al mondo bambini schiavi, da educare come tali, in modo da incrementare le proprietà del padrone. Un trattamento che non ha niente di umano, eppure…
Spesso e volentieri si instaurava un rapporto di stima e affetto reciproco tra gli schiavi (non tutti) e il padrone, il quale poteva arrivare ad affrancarli. La speranza della manumissio, ovvero della pratica con la quale il dominus liberava lo schiavo dalla stretta, era ciò che ogni schiavo sognava dal momento della propria nascita e che permetteva ai padroni di non subire rivolte. Anche perché rivolte di schiavi ce ne furono, non solo quella di Spartaco, e furono sempre represse nel sangue.
In un’atmosfera immersiva, in cui ossessivamente ci vengono ripetute in italiano, inglese e latino, alcune frasi di autori latini, come Seneca e Giovenale, rivolti al rapporto tra padroni e schiavi, si incontrano statue di età imperiale, oggetti da schiavi, come i collari e le piastrine in bronzo con su scritto Tene me (tienimi) che identificavano gli schiavi fuggiaschi, iscrizioni funerarie e attrezzi di vita quotidiana, accanto a fotografie di reportage del Novecento/Duemila. Importante ed efficacissimo, anzi, il confronto con le fotografie dei tempi moderni che mostrano come anche oggi la schiavitù non sia stata debellata dal nostro mondo. Le immagini che vediamo ci infastidiscono, ci inorridiscono, eppure sono tanto reali quanto la realtà archeologica di 2000 anni fa e più che ci è narrata attraverso i reperti archeologici.
Dal 31 marzo al 17 settembre 2017 al Museo dell’Ara Pacis. Prezzo intero del biglietto Ara Pacis più mostra 17 €. www.arapacis.it
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